I ristoranti hanno ripreso la loro attività. Lentamente, in sordina, dimezzando i coperti, mantenendo le norme di sicurezza richieste e con tanta, tantissima voglia di rimettersi in carreggiata. Il minimo che possiamo fare è contribuire nel nostro piccolo riproponendovi delle interviste che raccontino di loro per farvi venire voglia di andare a trovarli il prima possibile.
Oggi parleremo de Il luogo di Aimo e Nadia che riaprirà il 9 giugno. Noi non possiamo che augurargli un grande in bocca al lupo in attesa che tutto questo passi e si ritorni con la normalità e il piacere di prima e anche di più al ristorante. Il Luogo per eccellenza.
Sorto nel 1962 grazie allo sforzo e alla volontà di Aimo Moroni e della moglie Nadia, dapprima in una zona di Milano certamente lontana dai fasti e dagli eccessi dei quartieri più in e più modaioli della città da bere (oggi presente anche nel cuore della Milano modaiola con il BistrRO di Aimo e Nadia, n.d.r.) il ristorante Aimo e Nadia – nato come una tipica Trattoria Toscana – ha saputo cambiare pelle, pur senza mai tradire gli ideali e i valori che da sempre lo caratterizzano come tempio del mangiar bene e secondo cultura in Italia.
Prima stella Michelin nel 1980, aggiunge la seconda dieci anni dopo. Di lì a poco, Aimo è però costretto ad abbandonare temporaneamente le cucine per questioni di salute e il ristorante, non può non risentirne. Ma nel 1998, la figlia Stefania Moroni prende in mano le redini, e ha l’intuizione di trasformare il ristorante in un Luogo: un luogo in cui mangiare, un luogo di idee, un luogo in cui forme d’arte differenti possano dialogare tra loro e innescare commistioni esplosive.
Per accompagnarla in questa avventura di contemporanea-continuità, Stefania chiama due giovani chef, Alessandro Negrini e Fabio Pisani. Dal 2005, dopo un periodo di affiancamento professionale e culturale, la coppia Aimo e Nadia Moroni passa il testimone delle cucine alla coppia (in questo caso, professionalmente parlando) Negrini-Pisani che innescano la propria esperienza al Luogo, nel rispetto degli insegnamenti dei fondatori stessi. La partenza è esplosiva: nel 2008 la coppia Negrini-Pisani riconquista la seconda stella Michelin e nel 2014 viene eletta come “Miglior Chef” per la Guida d’Identità Golose.
Apparentemente, di affine i due chef hanno solo la professione e l’anno di nascita. Per il resto, mai coppia potrebbe essere più dissimile e, per questo motivo, più in equilibrio.
Valtellinese ed esplosivo, Alessandro Negrini approda nelle cucine di Aimo e Nadia a soli 19 anni, dove trascorre tre anni. Sceglie di continuare il suo percorso formativo in realtà stellate all’estero e poi rientra in Italia – Dal Pescatore a Canneto sull’Oglio – dove conosce Pisani.
Fabio Pisani, originario invece della provincia di Bari che – lasciata la sua Molfetta a soli 20 anni – è quello più riflessivo e –prima di incrociare il proprio destino con Alessandro a Canneto sull’Oglio, peregrina per cucine stellate tra Londra e Parigi, perfezionando la propria esperienza.
Due Stelle. Due Chef. Che io incontro e conosco, in occasione di una piacevolissima intervista doppia. Ovviamente, separandoli!
L’intervista agli chef
D: «Cos’è un “Luogo”?»
R (Fabio): «E’ un posto di condivisione di amore, di valori e in cui è fondamentale comunicare ciò che si fa – attraverso i gesti e le parole. Un luogo in cui la contaminazione avviene in maniera naturale: una contaminazione di idee; una contaminazione culturale – che parte da un valtellinese contrapposto a un pugliese e che prosegue grazie a tutti i nostri ragazzi; una contaminazione generazionale: siamo circondati da giovanissimi e l’età media nella nostra cucina è di 25 anni, solo perché io e Ale la alziamo in maniera vergognosa (RIDE). Il Luogo è un posto in cui l’unione fa la forza e in cui questo valore viene percepito in maniera tangibile: i nostri collaboratori, quando scelgono di proseguire per la propria strada, scelgono quasi sempre di farlo in coppia. Insomma, siamo fieri di aver trasformato un motto in un esempio professionale concreto – sostituendo l’immagine del singolo chef, con quello della coppia!».
R (Alessandro): «Un Luogo è Il Luogo. E non potrebbe essere altrove o altrimenti. Noi abbiamo scelto di rimanere qui per perpetuare il pensiero di Aimo il quale asseriva che “per mangiare bene, non bisogna essere ricchi, ma bisogna avere cultura!”. E la cultura è quella della cucina italiana. Ecco: il Luogo è il posto in cui si onora la cucina italiana e si sviluppano le emozioni del gusto. C’è chi dice che io e Fabio abbiamo ringiovanito la cucina di Aimo: niente di più sbagliato! Per quanto mi riguarda, Aimo è il ragazzo più giovane che conosca! La cucina italiana non è ne giovane né vecchia: semplicemente si rinnova. E noi, abbiamo avuto l’onore di mantenerla contemporanea e al passo coi tempi, attraverso la costanza, l’innovazione e la continua conoscenza delle materie».
D: «Come definiresti la tua cucina?»
R (Fabio): «Certamente, una cucina di emozioni e cuore. Una cucina in cui il ricordo e l’esperienza sono componenti fondamentali».
R (Alessandro): «Una cucina di semplice complessità del gusto e soprattutto, una cucina italiana. Una visione la mia, sviluppata in un contesto davvero unico e straordinario a livello mondiale: Aimo e Nadia sono stati due veri innovatori! Sono quelli che – in tempi in cui ancora nessuno ricorreva a slogan diffusi oggi, parlavano di territorio, stagionalità e importanza della materia prima. In anni in cui tutti guardavano alla Francia, Aimo andava avanti con la sua idea: quella della Grandeur Italiana».
D: «In cosa ti senti più affine all’altro e in cosa differisci maggiormente»
R (Fabio): «Io e Ale siamo diversi e allo stesso tempo identici! Forse io sono razionale e lui più kamikaze, ma non vi è occasione in cui non riusciamo a individuare una strada comune: e ti dirò, di solito la soluzione individuata, supera sempre di gran lunga le aspettative iniziali!».
R (Alessandro): «Più passa il tempo, più capisco che siamo identici! Siamo due facce della stessa medaglia e questo, grazie al comune obiettivo. Anzi, secondo me col tempo, lui è diventato il valtellinese e io il pugliese». (RIDE)
D: «Qual è il carburante per la tua creatività?»
R (Fabio): «Ah beh… sicuramente la quotidianità, la vita, i viaggi… Non vi è situazione che non ci lasci qualcosa e che non arricchisca il nostro lavoro!».
R (Alessandro): « Senza ombra di dubbio, la curiosità, le persone, la loro anima e il privilegio di entrarci in contatto. Il Luogo è soprattutto questo: un luogo di incontri e di esperienze condivise. È difficile da spiegare: il Luogo bisogna viverlo, per poterlo realmente comprendere!».
D: «La frase che senti più spesso ripetere dall’altro in cucina?»
R (Fabio): “Metteteci l’anima nei piatti!”.
R (Alessandro): «”Ma vuoi mettere la Puglia con la Valtellina?!?”. Come se la Valtellina fosse una regione!». (RIDE DI GUSTO)
D: «Il talento è qualcosa di innato o si impara?»
R (Fabio): «A mio avviso il talento è insito, ma devi anche svilupparlo: partendo dall’etica, dalla mentalità e dal giusto approccio».
R (Alessandro): «C’è poco da fare: una cosa ti deve appartenere, per padroneggiarla al meglio. Quindi, o ce l’hai, o è meglio lasciar perdere! È anche vero che il talento, senza una reale determinazione, non ti porta lontano».
D: «La cosa che ti spaventa maggiormente?»
R (Fabio): «Non mi spaventa nulla! O forse, che si possano perdere le radici della nostra cultura. Il mio maggior terrore? Trovarmi, tra qualche decennio, a dover insegnare ai giovani come preparare uno spaghetto al pomodoro».
R (Alessandro): «Beh, sono padre… quindi i maggiori timori li nutro nei confronti di mio figlio. Professionalmente parlando, non mi spaventa nulla, se non il rischio che si possa perdere l’amore e la conoscenza della cucina italiana. Ciò che temo maggiormente, è trovarmi un domani a dover insegnare alle nuove generazioni come preparare il sugo al pomodoro e reindirizzarli verso basi e origini. Non dobbiamo mai dimenticare che la nostra è la migliore cucina al mondo: non grazie a noi cuochi, ma per materia, territorio e diversità. Cerchiamo di non scordarlo mai!».
D: «Definisci l’altro»
R (Fabio): «Alessandro è buono. È un amico. Non è solo un collega e quando non c’è mi manca terribilmente; il nostro è il rapporto perfetto: anche se ci scontriamo, non riusciamo mai a litigare! E se è vero che chi trova un amico trova un tesoro, io ho trovato il mio tesoro!».
R (Alessandro): «Un fratello. Nel 2004 ho perso il mio vero fratello, a causa di una malattia genetica. Nello stesso anno, ho conosciuto Fabio. Si dice che il caso non esista. E io, credo che sia proprio così!».
Ci riuniamo. E ci lasciamo così. Con una chiacchierata in cui spontaneità, sorrisi e buonumore sono stati i veri protagonisti.
E con parole e sensazioni che mi lasciano un’unica grande convinzione: Alessandro Negrini e Fabio Pisani sono davvero due facce della stessa medaglia; due personalità inscindibili e inseparabili che mostrano come la ricchezza avvenga dall’unione delle idee (che, nel caso specifico, coinvolgono anche quelle di Stefania), dando forma a quel Luogo e a quel modello unico che il mondo ci invidia: Il Luogo di Aimo e Nadia.
La ricetta degli chef: “Anatra di Miroglio marinata nella grappa, al leggero fumo di zucchero di canna con salsa di amarene”
porzioni: 4; difficoltà: media; tempo totale di preparazione: 2 ore
INGREDIENTI
2 petti di anatra femmina da circa 400 g l’uno
(per la marinata)
- 200 g sale marino grosso
- 5 g anice stellato
- le zeste di ½ arancia
- le zeste di ½ limone
- 1 pizzico di zucchero
- 1 cucchiaino di pepe di Sarawak
- 1 cucchiaino di pepe di Sechuan
- 1 cucchiaino di cannella in polvere
- 100 g grappa
- 50 g olio EVO
(per l’affumicatura)
- 250 g zucchero canna
- 10 g scorze di arancia
- 10 g anice stellato
- 10 g scorze di limone
- 5 g pepe di Sarawak spezzato
- 5 g olio EVO
(per la salsa)
- 100 g amarene fresche denocciolate
- ½ cucchiaino di miele
(per gli involtini di patata)
- 2 cipollotti di Tropea puliti
- 50 g miele di girasole
- 20 g olio extra vergine d’oliva
- 200 g patata
- 20 g funghi porcini freschi
(per le taccole)
- 4 taccole
- 10 g pomodori essiccati
- 5 g capperi di Pantelleria dissalati
- 5 g mandorle
- 2 g origano
- 3 foglie di basilico
- poca scorza di cedro
PREPARAZIONE
- Per prima cosa, marinate i petti d’anatra: cospargeteli con sale e spezie e lasciate riposare 40 minuti. Quindi rimuovete il sale, lavate, asciugate. Emulsionate l’olio e la grappa, versare uniformemente sui petti, e lasciate marinare per 8 minuti. Scolate e disponete su una griglia.
- Passate all’affumicatura: caramellate tutti gli ingredienti e – quando iniziano a fumare – toglieteli dal fuoco. Disponetevi sopra la griglia con i petti, coprite e lasciate affumicare 6 minuti per lato.
- Nel frattempo, realizzate gli involtini: affettate finemente i funghi porcini. Emulsionate il miele e l’olio, versateli sui cipollotti e cuocete a fuoco dolce sino a caramellarli. Lasciate raffreddare, tritateli e uniteli ai funghi porcini.
- Pelate la patata e tagliatela in un’unica lunga striscia dello spessore di circa 2 mm. Tagliare la striscia in pezzi lunghi 15 cm, sbollentateli, scolateli e stendeteli su un piano. Su di essi, disponete i cipollotti e funghi e arrotolate. Cuocete in forno a 150 °C per 5 minuti.
- Preparate le taccole: tritate i pomodori secchi, i capperi, le mandorle e il basilico. Unite l’origano e poca scorza di cedro grattugiata e mescolate bene. Sbollentate le taccole, apritele a portafoglio e farcitele.
- Realizzate la salsa di amarene, cuocendole con il miele per una decina di minuti e spremendone il succo. Tenete da parte e, una volta che avrete cotto i petti d’anatra, uniteli al fondo di cottura, amalgamando e aggiustando di sale.
- Cuocete l’anatra, scaldando l’olio in una padella e cuocendovi i petti per 2 minuti dal lato della polpa; completate la cottura in forno a 180 °C per 4 minuti. Tagliate i petti a metà nel senso della lunghezza.
- Su ciascun piatto disponete mezzo petto d’anatra, salsate e completate con le taccole ripiene e gli involtini di patata.
di Stefania Buscaglia
[Photo Credits © Lucio Elio]