Anche Matias Perdomo, come tutti i suoi colleghi, si è trovato a dover fare i conti con una realtà sottosopra. Privata del piacere della condivisione del cibo, della ricerca del gusto e della scoperta di nuovi sapori. Siamo, così, in attesa di quello che accadrà nei prossimi giorni in seguito alle riaperture che si stanno susseguendo e non vediamo l’ora di sederci al suo ristorante per un altro viaggio gastronomico mirabolante, di quelli cui siamo abituati con la cucina di Matias.
Nel frattempo, vi riproponiamo la nostra intervista di qualche tempo fa, che vi aiuterà meglio a conoscere questo chef stellato dal sangue e dal temperamento sudamericano. Buona lettura!
Matias Perdomo, autodidatta e classe 1980, entra in cucina giovanissimo, a soli 14 anni. Dopo alcune esperienze nel suo Paese di origine, raggiunge l’Italia nel 2001, chiamato a rapporto da un amico chef – uruguayano come lui – che ai tempi lavorava in un’osteria sui navigli milanesi: Al Pont de Ferr. Non ci vuole tanto a Matias per farsi notare e prendere in mano le redini della cucina, rivoluzionandola con idee e tecniche ancora sconosciute in quel luogo storico. Ma l’idea e la scommessa sono oltremodo vincenti, tanto da valergli la stella Michelin nel 2011. E che fa Perdomo a questo punto? Si accontenta? No! Alla fine del 2014 lascia il Pont de Ferr per iniziare una nuova avventura, questa volta sua, a pochi passi dal precedente indirizzo.
Così, coinvolti gli ex compagni Simon Press (suo sous-chef) e Thomas Piras (in sala) dà vita al Contraste, un ristorante di circa 30 coperti, che accoglie i commensali in una dimensione inaspettata e che li stuzzica con un menù psicologico, in cui il banchettante è invitato a “specchiarsi” in una carta ancora da costruire raccontando di sé, dei propri desideri e riconoscendo le proprie ambizioni (e perché no, i propri limiti). Psicologie a cui lo chef Perdomo dà forma e sostanza, costruendo piatti dedicati al suo ospite, delineandone fisionomie gastronomiche e magari denudandone gusti ancora sconosciuti e passioni timidamente assopite.
L’egocentrismo lascia il passo all’altruismo e Matias Perdomo, come fosse un oste moderno, non teme l’improvvisazione e rischia, presentandosi “a nudo” esattamente come il suo locale, privo di opulenze e sovrastrutture: i tavoli, inizialmente vuoti, prendono forma nel corso di una cena in cui i protagonisti – i commensali – vengono conquistatati dalla cucina dello Chef, fatta di piatti arditi, coraggiosi, travolgenti. Piatti dal carattere unico in cui la tecnica e il contrasto stuzzicano un piacere ludico e desideroso di stupirsi. E la cucina si mostra con timidezza e umiltà: non è infatti casuale che la vista di essa possa scorgersi attraverso una fessura, uno spioncino, a cui il commensale è invitato ad approcciarsi, scegliendo una prospettiva nuova con cui interagire con la cucina e i suoi attori.
E sull’onda di ciò, vengo spinta da un desiderio. Ovvero, di prendere quello specchio e metterci di fronte Matias Perdomo. Invertendo i ruoli, e raggiungendolo nelle sue cucine.
D: «Ti faccio tornare indietro nel tempo. Perché hai fatto lo chef?»
R: «La verità? Odiavo studiare! (RIDE) O meglio, odiavo che mi venisse imposto di imparare qualcosa, perché così tutti facevano! Così sono andato a lavorare prestissimo – a 14 anni – da mio zio, che era un falegname e costruiva giocattoli in legno. Era un artigiano e creava cose. Una cosa bellissima, pensavo! Sentivo di essere molto più vicino alla pratica che alla teoria e che le risposte si potessero trovare solo nelle cose concrete. Oggi mi rendo conto che ciò che faccio è molto affine al lavoro di mio zio: come lui, manipolo materia, la rispetto e la trasformo. E costruisco piatti che, come i suoi giocattoli, racchiudono un messaggio intrinseco e che arrivano al commensale, senza dover essere spiegati. Ciascuno lo comprende per ciò che è, e per ciò che il suo cervello gli racconta. Alla fine, il successo di un’esperienza gastronomica dipende sia dal nostro lavoro (e dal nostro impegno), che dal cliente (e la sua soddisfazione). Per questo, sono certo, che al Contraste la parola d’ordine sia “condivisione”».
D: «Quando eri al Pont de Ferr, spesso chiudevi i tuoi menù con un piatto denominato “Questa notte lo chef ha sognato…”. Cosa sogna Matias Perdomo?»
R: «Più sono coinvolto da un progetto, più quel progetto condiziona i miei sogni e le mie notti. Ovvio dunque, che spesso mi capita di sognare di cucina. È proprio per questo che ai tempi aveva preso forma questa idea. Oggi ho certamente dei sogni, ma mi sento particolarmente ancorato coi piedi a terra. Tutto il resto si vedrà».
D: «Quindi, data per scontata l’umiltà, che caratteristica non può mancare a chi vuole lavorare con te?»
R: «Avere le idee chiare di ciò che si sta facendo. Io non mi sento l’oracolo di nessuno quindi, se un giovane sceglie una strada impegnativa come la nostra, deve averne totale consapevolezza. Io poi posso insegnargli e condividere tutto ciò che ho, ma loro devono avere chiaro a cosa stanno andando incontro».
D: «L’elemento che più contraddistingue il tuo Paese d’origine e la tua cultura da quelli italiani».
R: «Partiamo dal presupposto che l’influenza italiana in Uruguay si è certamente fatta sentire e che siamo latini, quindi per forza molto simili, ma certamente quello che ci distingue maggiormente è l’atteggiamento positivo della mia Terra d’origine e la capacità di vivere maggiormente alla giornata, senza fare progetti a lungo termine. Ma è ovvio che questo dipenda certamente dal contesto sociale».
D: «E quello che più li accosta?».
R: «L’ho detto, siamo latini! È quindi pressoché impossibile scindere le due identità. Ti faccio un esempio relativo alla cucina: vi è un piatto che in Uruguay è considerato come qualcosa di sacro e identificativo: la “pasta col tucco”. Facendo delle ricerche, ho scoperto che vi è una ricetta tipica della tradizione genovese denominata “pasta col tocco”. E fondamentalmente, è pressoché identica al piatto del nostro folclore. Ovvio, la cosa è da ricondurre a secoli fa, quando i genovesi sbarcavano in America Latina e insieme ad essi, portavano la propria cultura, anche gastronomica. E questo non è che un esempio: sono sempre stato attratto dalla storia dei piatti, poiché è ciò che ne da realmente coerenza».
D: «Di cosa ha paura Matias Perdomo?»
R: «Beh… aprire un ristorante al giorno d’oggi è una cosa che fa paura! Ma io ho la motivazione dalla mia. Oltre ovviamente a Thomas e a Simon, fondamentali al mio fianco!».
D: «Menù a specchio: come funziona? E a me… cosa cucini?»
R: «Sono i ragazzi della sala a interagire col cliente e a capirne innanzitutto le intolleranze, gusti e preferenze. Poi, cercano di comprendere chi hanno davanti e a che punto si spinga la loro curiosità. Da questo punto di vista ci riteniamo fortunati, i nostri clienti sono aperti e curiosi e non hanno paura a lasciarsi guidare. A te? Mi hai detto che ami le interiora quindi (SORRIDE), probabilmente, ci andrei giù pesante».
E ne sono certa, non sbaglierebbe!
A questo punto, io e Matias facciamo un gioco. È lui a impugnare penna e taccuino e a farmi una domanda, chiedendomi: «Cosa ami di un ristorante?». E io, sicura, rispondo che amo i contesti schietti, privi di sovrastrutture e opulenze. Amo i luoghi in cui non ci si relaziona attraverso l’etichetta ma in cui si cerca un rapporto quasi intimo con il commensale e a cui i piatti venga lasciato il ruolo di autentico protagonista. E mentre do la mia risposta, realizzo che – con buona probabilità – mi trovo nel luogo giusto e al cospetto dell’uomo giusto.
Un uomo che non a caso continua a essere considerato e valutato come un’entità unica, creativa e inimitabile nel panorama gastronomico milanese. Un uomo che non ha paura di stravolgere gli schemi e di percorrere strade più ardite e non convenzionali.
Un uomo che non teme di ribaltare i ruoli e i punti di vista. Esattamente quel che accade, guardandosi allo specchio.
RICETTA DELLA MURRINA DI PESCE
porzioni: 6
difficoltà: semplice
tempo totale di preparazione: 1 ora
INGREDIENTI:
300 g di ricciola
1 carota
1 zucchina
200 ml di aceto
200 ml di vino bianco
60 g di sale
60 g di zucchero
2 foglie di alloro
1 cucchiaio di pepe nero in grani
(per il condimento)
10 g di cipolla rossa
30 g di peperone rosso
60 g di sedano
80 g di ricciola
100 ml di succo di mela verde
90 ml di succo di limone
8 g di sale
15 g di olio EVO
1 punta di peperoncino
PREPARAZIONE
1 – Affettate le verdure con la mandolina, con uno spessore di 1 mm.
2 – Portate a bollore l’aceto, il vino, il sale, lo zucchero, l’alloro e il pepe e cuocetevi le verdure per i minuto.
3 – Affettate il pesce a 1 mm di spessore.
4 – Frullate tutti gli ingredienti utili al condimento e passate in un setaccio fine.
5 – Impiattate, formando dei rollè con il pesce crudo, intervallandoli con le verdure e ciuffi di salsa. Finire il piatto con un filo d’olio extravergine di oliva e un pizzico di sale.