Riccardo Camanini è tra i giovani Chef italiani, quello che più sta rivoluzionando l’idea di Alta cucina stellata. Ha conquistato la stella Michelin a soli sei mesi dall’apertura del suoRistorante Lido 84. Di fronte a un suo piatto, Alain Ducasse ha detto: “Ecco! Questo è il più buon piatto che abbia mai assaggiato”. E probabilmente non è un caso che proprio questo capolavoro sia oggi presente nel menù che lo Chef tristellato Corey Lee ha voluto, in rappresentanza dell’Italia, nel suo ristorante all’interno del MOMA di San Francisco.
Classe ’73, bergamasco di origine, Riccardo Camanini entra giovanissimo nelle cucine de L’Albereta in cui, apprende come nessuno il concetto marchesiano di sintesi e (apparente) semplicità, in un fervente periodo in cui i suoi compagni di brigata rispondono ai nomi di Carlo Cracco, Andrea Berton, Paolo Lopriore ed Enrico Crippa. Alla fine degli anni novanta vola nelle cucine stellate di Londra e Parigi per poi approdare sul lago di Garda, alla guida dei fuochi di Villa Fiordaliso dove per 16 anni mantiene senza sforzo la meritata Stella Michelin.
All’alba dei 40, sente però il desiderio di un progetto tutto suo che, in brevissimo tempo prende forma: col fratello Giancarlo individua la location a Gardone Riviera, affacciata sul punto più limpido del Lago di Garda, in un locale che vive di luce, la stessa che si riflette attraverso le enormi vetrate vista lago che abbracciano le sale che Riccardo e Giancarlo hanno saputo trasformare poco per volta in un ambiente raffinato di forte influsso dannunziano.
Una location resa ancor più magica dallo splendido dehors in cui ci si sposta a pranzare e cenare, durante la stagione più calda. Un luogo unico, con un approccio “democratico” e di elegante informalità e che ha conquistato la Stella Michelin, oltre ai 3 Cappelli dell’Espresso, 2 Forchette Gambero Rosso, la Corona Radiosa Gatti e Massobrio e la menzione di Ristorante d’Autore nella Guida di Identità Golose. E che, al di là di riconoscimenti e menzioni ci invita a non trascurare un “piccolo” particolare: il locale è sempre pieno!
Spirito vulcanico e genio oltre a ogni immaginazione, io Riccardo lo incontro nel suo habitat naturale, in cui trascorre 16 ore al giorno – la cucina – dove, affiancato dalla sua giovane ed energica brigata mi racconta di sé attraverso una chiacchierata in cui conosco meglio lo Chef e l’Uomo.
D: Da te non si mangia. Da te si vive una storia d’amore. Non esagero: la prima volta che mi sono trovata davanti un tuo piatto e ho portato alla bocca la forchetta ho avuto un fremito. Non volevo più parlare con nessuno… c’ero solo io in un rapporto intimo con ciò che tu mi avevi messo nel piatto. Come fai a creare emozioni tanto grandi con la tua cucina?
R: Probabilmente attraverso il totale rispetto della materia prima. Mi spiego meglio: quando riesci a nutrire una ricetta di mille attenzioni che esulano dalla mera tecnica, divenendo una sorta di artigiano della materia, il cliente non può non percepirlo. Il Lido 84 è nato come fosse un po’ casa, ed è proprio così che scegliamo di approcciarci al cliente: ciò che ci interessa non è apparire attraverso una replica estenuante della perfezione; ciò a cui ambiamo è la sensibilità e la cura che mettiamo nelle cose, esattamente come un buon padrone di casa ha nei riguardi dei suoi ospiti. Senza nulla togliere a un grande innovatore come Adrià, quello a cui io non saprei rinunciare è la firma e la personalità che lascio sui miei piatti che ogni volta raccontano una storia unica, differente. La mia firma è come un ricamo a mano. Non potrai mai essere la stessa o standardizzata.
D: Oggi tutti gli Chef parlano di sperimentazione. Con te più che mai questa sperimentazione è tangibile. Parti dagli insegnamenti di Marchesi per poi esplodere in piatti dalla personalità fortissima e a tratti sconvolgenti. Ad esempio, la tua Cacio e pepe in Vescica è un piatto viscerale, carnale e per certi tratti ancestrale che racconta profondamente di te e della tua cucina. Chi è, e cosa ama Riccardo Camanini?
R: Sì, se ben vogliamo, la mia è una sperimentazione inversa perché recupera dalla tradizione i sistemi più biologici. Quella della tecnica di cottura in vescica, è una ricerca che parte ad esempio dal folklore della nostra penisola o dai più recenti (si fa per dire!) esperimenti di Fernard Point. Una pratica che consente all’elemento in cottura – nella fattispecie la pasta – di acquisire una consistenza, un amalgama e un gusto completamente nuovi, più genuini. In effetti, ciò che mi da più soddisfazione di simili esperienze è non far morire la memoria. Del resto Bocuse continua a ripeterlo: la cucina del futuro è quella italiana. È essenziale non perdere le nostre radici. E io, nel mio piccolo, amo farmi portavoce della storia della nostra cucina.
D: Chef Camanini non ha fatto solo una rivoluzione dei piatti. Ha rivoluzionato la cucina stellata in Italia: il tuo locale è lontano dalle opulenze e dai fronzoli dell’alta cucina più tradizionale; il menù è accessibile e il clima rilassato e informale; cucina e sala si fondono in un incessante peregrinare tuo e della brigata che arrivate al tavolo rapportandovi direttamente e intimamente con il commensale; il ristorante stesso è movimento e fermento continuo con oggetti e dettagli di culto che raccontano una storia, tavoli che non si somigliano tra loro, elementi e dettagli che si aggiungono di volta in volta. Che messaggio ci state lanciando?
R: A dire il vero, il tutto è partito da un’esigenza! Abbiamo iniziato faticosamente e scelto di investire totalmente sulla cucina. Il locale era ancora spoglio e arredato con quanto ci aveva lasciato la passata proprietà, le pareti bianche e il tutto è rimasto così per dei mesi. Io e mio fratello Giancarlo siamo grandi appassionati di antiquariato e, se ci capitava di vedere un tavolo o delle sedie che ci piacevano, li acquistavamo – un pezzo alla volta – e li sostituivamo a quanto vi era in sala. Per la stessa ragione, abbiamo scelto di non investire sulle divise. Ma il non potercele permettere ci ha mostrato come anche questa potesse essere una formula che raccontasse della nostra attività. Il personale era poco e ce lo dovevamo giocare tra cucina e sala: che se poi ci pensi, è la stessa prassi di alcuni ristoranti nordeuropei come il Noma o – rispolverando storia e tradizione – ciò che facevano i vecchi osti che servivano i piatti ai tavoli. Che poi la cosa si sia rivelata vincente e apprezzata, non può che renderci fieri. Tra l’altro, non possiamo dissociarci dalla realtà e dal contesto in cui viviamo: la situazione economica attuale è quella che è; e non migliorerà. Non si può chiedere alle persone di spendere 250 euro a testa e pretendere che tornino. Io offro la qualità, ma voglio anche accontentare la clientela del posto. Non vivere esclusivamente di turismo. La più grande soddisfazione è quando la gente continua a tornare e quando, un passo per volta, riesci a crescere con il tuo gruppo. All’apertura avevamo solo cinque persone assunte. Oggi sono dodici. E questo è certamente un importante elemento di forza.
D: Quale è il tuo attrezzo preferito in cucina?
R: Il tagliere di legno. Adoro fare il pane ed è la ragione per cui ogni giorno sono in cucina alle 6,30 del mattino. Quello della panificazione è un tema a me molto caro e, se un giorno avrai voglia, ti racconterò una bellissima storia. Ma serve tempo. Come per il pane.
D: Tu ti sei buttato in questa avventura con tuo fratello Giancarlo. In effetti, al Lido 84, ci si sente un po’ in famiglia. Ci si siede a tavola e non ci si vorrebbe più rialzare. Il segreto?
R: Ammettiamolo… il locale fa certamente la sua parte. La luce, l’atmosfera, le pareti color ottanio, tinta che ha il potere di tranquillizzare normalizzare il battito cardiaco… e poi, come ti dicevo all’inizio, la nostra volontà di accogliere le persone nella nostra casa. Nulla di forzato. Il Lido 84 è esattamente questo.
Come di consueto, mi risulta impossibile congedarmi da una chiacchierata con un grande Chef senza approfittare della calda atmosfera della sua cucina, e del desiderio di condividere tipico di chi ama veramente questo mestiere. E a quale altra ricetta pensare se non quel piatto tanto amato da Alain Ducasse e oggi presente nella carta del Museo d’Arte Moderna di San Francisco? Un piatto che, ricalcando gli insegnamenti del Maestro Gualtiero Marchesi, è all’apparenza semplice, ma in realtà, difficilissimo e di cerebrale ideazione. Un piatto unico, in cui dolcezza e morbidezza si incontrano armonicamente con le note acide e le fragranze croccanti. Signore e Signori: lo Spaghettone al burro e lievito di Chef Riccardo Camanini.
Spaghettone al burro con lievito di birra
porzioni: 4; difficoltà: media; tempo totale di preparazione: 1ora
Ingredienti
- 320 gr di spaghettoni (privilegiate una pasta non di Gragnano; Chef Camanini utilizza Verrigini)
- 180 gr di burro Beppino Occelli
- lievito di birra freschissimo q.b.
Preparazione
1 – Sbriciolate grossolanamente il lievito di birra che dovrà essere bianchissimo e freschissimo su una placca, che infornerete a 75° per circa 1 h. Lasciate il forno leggermente aperto, in modo da favorire l’uscita del vapore acqueo e facilitare l’essiccazione.
2- Preparate il burro a fiocchetti portandolo a temperatura ambiente. Chef Camanini utilizza il burro Beppino Occelli, ma in alternativa potrete sceglierne un’altro dolce e pannoso e non di malga.
3 – A parte, portate a bollore dell’acqua non salata, che vi servirà successivamente per la mantecatura.
4 – Cuocete gli spaghetti in acqua bollente poco salata e scolate a cottura quasi ultimata.
5 – Trasferite lo spaghetto in una padella di alluminio, dove lo mantecherete con burro e l’acqua bollente non salata. La consistenza dello spaghettone dovrà risultare morbida ma non scotta – affinchè risulti evidente il contrasto tra il morbido dello spaghetto e del burro e il croccante del lievito, che sbriciolerete in ultimo sopra la pasta.
Stefania Buscaglia
mangiaredadio.it
Nell’immagine copertina con Chef Riccardo Camanini, la sua giovane brigata: Noel Pavaci (Sous Chef), Gilles Fornoni (Capo Partita Secondi), Nino Sciré (Capo Partita Primi), Martina Sguerso (Capo Partita Antipasti), Federica D’Alpaos (Pasticcera), Alessandro Franchi (Panettiere), Andrea Capasso (Stagista di cucina), Andrea Gasperetti (Stagista di cucina)
Photo credits © Lucio Elio, Lido Vannucchi
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