41. Stando ai numeri della Guida Michelin, è questo il numero delle chef donne stellate in Italia.
Poco? Tanto?
Dipende: a livello mondiale è un gran risultato, considerando che il nostro Paese primeggerebbe come Nazione con più donne stellate al mondo. Un po’ meno se si pensa che attualmente i ristoranti stellati italiani sono 367 e che dunque il confronto con la proporzione maschile mostra ancora un evidente gap. Ma l’evoluzione sembra non volersi placare.
Merito di donne come Aurora Mazzucchelli, chef del Marconi di Sasso Marconi, ristorante di cui è patron in coppia col fratello Massimo. Lei in cucina, lui in Sala, sono gli artefici di un progetto perfetto, partito negli anni ottanta su iniziativa dei genitori e che nel 2000, intraprende il nuovo corso sotto la guida dei “Mazzucchelli brothers”, evolvendosi incessantemente e in maniera molto naturale, grazie a idee spontanee e a una cucina di forte sperimentazione, in cui tecnica e creatività nascono dall’istinto e dalla “pancia” di una Chef, la cui impronta si candida a essere tra le più riconoscibili del nostro Paese.
Stella Michelin nel 2008 e tanti, tanti premi al femminile tra cui, in ordine di tempo il riconoscimento di Identità Donna nel 2018 per Identità Golose, e quello Fattore Donna per l’anno in essere. Ma non è il genere quello che deve essere focalizzato in merito al lavoro di Aurora Mazzucchelli, grande interprete moderna dall’approccio contemporaneo e a tratti estremo, capace di dare forma a una cucina d’Autore mai banale o standardizzata per cui, in assoluto, vale la pena affrontare il viaggio. Cosa che faccio io stessa per parlare di cucina, di famiglia e di femminilità…
D: «Recentemente, in occasione dell’assegnazione del Premio Michelin alla Miglior Chef Donna, si è dibattuto sul “significato della femminilità nell’Alta Ristorazione in Italia”. Qual è il tuo punto di vista?»
R: «Il mio punto di vista è ormai noto, essendomi più volte trovata ad affrontare l’argomento. A differenza di alcuni, io non credo che sia possibile riscontrare l’elemento di “femminilità” in un piatto, quanto piuttosto nell’organizzazione del lavoro, nei rapporti e nelle relazioni che – da sempre – uomini e donne gestiscono in maniera differente sia nel privato che nell’ambiente lavorativo».
D: «Per quanto, secondo te, andremo avanti a dover assegnare un premio specifico alla categoria femminile?»
R: «Beh… ci vorrà ancora un po’ di tempo; però, traendo l’aspetto positivo della cosa, non dimentichiamo che si tratta pur sempre di un onore e un’occasione in più per premiare un professionista meritevole! Ad esempio, l’ultimo riconoscimento che ho avuto il piacere di stringere tra le mani è stato il Premio Fattore Donna 2019 di Terra Moretti: una grandissima soddisfazione per me e per il ristorante che ci conferma quanto la nostra passione possa portare un messaggio positivo di ciò che facciamo quotidianamente».
D: «Seppur con un grave deficit rispetto ai colleghi uomini, l’Italia è il Paese con il più alto numero di chef donne stellate, rispetto al resto del mondo. Cosa hanno in più le italiane?»
R: «Probabilmente, come accennavo prima, la nostra forza sta innanzitutto nel modello famigliare, che consente alle donne di crescere in un contesto privilegiato e capace di infondere di generazione in generazione una passione speciale. Non credo sia casuale che nella maggior parte dei casi, le Chef stellate italiane (o le Madame Chef, per dirla con l’Atelier des Grandes Dames Veuve Cliquot) siano patron del locale o proprietarie insieme alla propria famiglia. È dunque evidente quanto l’aspetto antropologico e sociale del nostro Paese sia fondamentale nell’ottenimento di questi risultati. Noi italiane siamo abituate sin da bambine a entrare nelle cucine delle nostre mamme (ad esempio, la mia mamma era sfoglina!): ogni regione italiana ha le sue specificità e tradizioni culturali o gastronomiche che vengono tramandate di madre in figlia, sviluppando così una sensibilità e una passione determinante nella successiva scelta di intraprendere una professione tanto impegnativa, ma altrettanto ricca di soddisfazioni. Questa analisi ci conferma però quanto nel nostro Paese una donna abbia l’opportunità di dedicarsi alla professione soprattutto quando vi è una famiglia alle spalle o quantomeno il ristorante sia di proprietà: la vera riscossa avverrà quando ci saranno tante donne chef assunte in cucine non famigliari».
D: «Il Marconi è un ristorante di famiglia e la storia ci insegna, almeno in Italia, che questo modello è spesso vincente. Cosa significa avere Massimo al tuo fianco?»
R: «La sua presenza è fondamentale. Innanzitutto perché io e lui siamo nati e cresciuti in un ristorante di famiglia, dunque abbiamo fatto nostre le dinamiche tipiche di questo genere di rapporto e contesto nella professione di tutti i giorni. Inoltre, saperlo in Sala, mi infonde sicurezza: è bravo e razionale e ha la capacità di raccontare un piatto in maniera chiara e lucida».
D: «Tu e Massimo. Siete più simili o complementari?»
R: «Non siamo per nulla simili (RIDE). E probabilmente questa è la ragione per cui siamo tanto uniti. L’equilibrio si crea spesso grazie a personalità opposte che camminano una a fianco all’altra, verso lo stesso obiettivo. Io e Massimo siamo fratelli nel vero senso del termine: abbiamo appena cinque anni di differenza, siamo cresciuti insieme e la nostra coesione è fortissima!».
D: «La tua cucina è stata definita in tanti modi: avanguardista, gustosa, essenziale. Tutto e niente, insomma! Chi è Aurora e cos’è la cucina per lei».
R: «Credo che definire la propria cucina sia tra le cose di difficili da fare. Io so che cucino in maniera molto spontanea: faccio ciò che mi piace e che credo sia giusto. Io e Massimo siamo così, del resto: spontanei! Mi piace rimarcare quanto nel mio approccio, l’elemento guida sia sempre la pancia! Probabilmente, ad alcuni, i miei piatti possono apparire ricercati o cerebrali, ma assicuro che nascono sempre dal piacere di creare qualcosa e dal gusto di crearlo. Io sono esattamente questo: molto istintiva! E dunque, la mia cucina non può che essere come me!»
D: «Dieci anni di Stella Michelin. E adesso?»
R: «E adesso… Bella domanda!?! (RIDE) Io e Massimo abbiamo sempre cercato di conservare e valorizzare quanto raggiunto, pur ponendoci nuovi obiettivi di crescita. Però, credimi, siamo molto pratici! Ogni giorno ci svegliamo pensando a quello che faremo per migliorarci nell’immediato, lavorando sul presente. Siamo certi che questo sia il giusto approccio per vedere i risultati nel lungo termine. Per noi la qualità è raggiungibile lavorando per migliorare e non per il raggiungimento di un obiettivo. Ogni progetto nasce sempre dal desiderio di fare ciò che ci piace e di portare avanti uno spirito che, fortunatamente, abbiamo ereditato da mamma e papà».
Aurora ci lascia col sorriso e con il chiaro messaggio che tutto può ancora accadere. Ovviamente, senza programmi e pianificazioni. Non ci resta dunque, che passare o tornare quanto prima a Sasso Marconi.
Uovo, bacon e croccante d’orzo
Ingredienti
4 uova fresche
150 g pancetta affumicata
300 g panna liquida
150 g albume
30 g farina di riso o amido di mais
30 orzo solubile
gr.20 g farina 00
10 g miele arancio
Procedimento
Cuocere le uova dentro un’acqua termostatica “roner” a 62,5° per 2 ore e 30 minuti.
Tagliare la pancetta e cuocere a fuoco moderato con la panna fino a ridurre della metà, setacciare il liquido ottenuto conservare in frigorifero.
Per il croccante unire tutte le farine, il miele e gli albumi frullare per 5 minuti, filtrare il composto versarlo in un sifone da 12 litro mettere 1 capsula per panna montata e lasciare riposare a +5°c per 12 ore, trascorso questo tempo riempire un bicchiere e metà di plastica rigida e cuocere per alcuni secondi in microonde alla massima potenza; deve risultare un soufflé spugnoso che a sua volta sarà fatto essiccare a 50°c per 2 ore.
Il momento di servire scaldare la salsa bacon, rigenerare l’uovo per 5 minuti a 60°levare dal guscio e usare il tuorlo e per ultimo sbriciolare il croccante all’orzo.
Stefania Buscaglia
Photo credits © AAVV